#SENZAGIRIDIBOA

#SENZAGIRIDIBOA

Come Nasce #Senzagiridiboa

Estratto da “#Senzagiridiboa”

Era di maggio. La fresca sera del 4 maggio 2022, alle 20. Sara Giudice ha preso l’iniziativa e su WhatsApp ha scritto a tre di noi (Giulia Cerino, Micaela Farrocco, Valentina Petrini): «Avete sentito le parole della Franchi? Dobbiamo reagire, fare qualcosa!». Era scioccata, Sara, dalle parole dell’imprenditrice della moda Elisabetta Franchi all’evento Donne e moda, ed era incredula per il fatto che nessuno le avesse ancora risposto a tono o avesse provato a mettere in dubbio le sue parole. Elisabetta Franchi è una stella del mondo della moda. La sua storia è da manuale ispirazionale. Nasce in una famiglia poverissima, poi fa la commessa in una bancarella di intimo fino a realizzare il suo sogno e arriva a dominare le passerelle più ambite con abiti indossati anche da Angelina Jolie e Jennifer Lopez. È diventata così un modello di affermazione tutto al femmini- le. Durante un incontro pubblico organizzato dalla società di consulenza PricewaterhouseCoopers e dal «Foglio», intitolato appunto Donne e moda, parlando del suo modello di business rispetto al tema dell’occupazione femminile dice: «Faccio una premessa. Io le donne le ho messe ma sono -anta, ancora ragazze ma ragazze cresciute. Se dovevano sposarsi si sono già sposate, se dovevano far figli li hanno fatti, se dovevano separarsi hanno fatto anche quello. Diciamo che io le prendo dopo i quattro giri di boa. Sono tranquille e lavorano h24».

Eccole le donne che hanno già fatto i quattro giri di boa.

Over 40 (quindi affidabili e formate ma ancora giovani per lo standard italiano), matrimonio fatto, figli già cresciuti (quindi secondo lei già fuori dalle balle), e anche divorzio (eh sì, perché se fai la manager non hai tempo per investire sulla tua relazione quindi per forza finisce male). A questo punto, sola come un cane e senza più nessuno di cui occuparti, non ti resta che lavorare h24 (perché no, se sei una donna in carriera – con o senza figli – non c’è spazio per il tempo libero, per leggere un libro, passeggiare o godersi la vita. Puoi solo sgobbare).

Queste parole, dette davanti alla ministra della Famiglia di Italia Viva Elena Bonetti e, collegata da remoto, alla sottosegretaria alla Cultura della Lega On. Lucia Borgonzoni, oltre che a numerose altre imprenditrici, hanno provocato nella platea risolini di approvazione e occhiate di intesa.

A noi invece quelle parole non hanno fatto ridere affatto, anzi, ci hanno fatto arrabbiare. All’inizio eravamo in cinque. Alle 21.30 nel gruppo WhatsApp superavamo le trenta. «Allora la lanciamo questa campagna?», ci ha chiesto Sara Giudice. «Propongo di postare tutte insieme una foto sui social per rispondere alle parole della Franchi. Che dite?».

E così è stato. Alle 22 di quella sera di maggio ognuna di noi ha lanciato sui propri social network l’hashtag #senzagiridiboa, accompagnato da una fotografia di sé stessa (con o senza pancione, con o senza figli, sul lavoro, in vacanza) e un pensiero, una riflessione per- sonale sulle parole pronunciate dall’imprenditrice della moda.

In un paio di giorni al nostro appello si sono aggiunte decine di altre colleghe. L’hashtag ha iniziato a girare, come si dice, è di- ventato virale. Alla campagna si sono unite molte altre lavoratrici. Non solo giornaliste ma anche scrittrici, artiste, sceneggiatrici, blogger, sportive, attrici.”

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Da lì abbiamo deciso di uscire dal perimetro della campagna social e fare ciò che ci viene meglio, cioè quello che facciamo per lavoro: esercitare il nostro diritto di cronaca e di critica. Narrare, dopo aver raccontato le nostre storie, le storie degli altri. Dare voce a chi non ne ha. O a chi ne ha troppo poca. Con uno scopo: mantenere vivo il dibattito sul tema del lavoro in Italia guardando da donne, per prima cosa, alle donne.

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Questo problema è il problema sociale più importante che abbiamo davanti nel mondo del lavoro, e deve avere una risposta sociale. Fino a quando la perdita del lavoro di una donna in attesa sarà solo il problema di quella donna e non un’offesa a tutte le donne lavoratrici e un danno a tutta la società, non se ne uscirà.

Quante di noi hanno aspettato prima di avere un figlio perché “Magari potrebbero licenziarmi o, peggio, sostituirmi con qualcun altro”? Quante hanno pensato che proprio quel figlio, che tanto avevano desiderato, in realtà potesse rappresentare un “li- mite” alla propria carriera e magari si sono autolimitate? Quante, ancora, hanno sacrificato parte della loro vita privata e familiare per “non deludere le aspettative” di capi e cape che chiedono di essere performanti h24, con il sottotesto costante “Se non ci sei tu ne troverò altri cento disposti a regalarmi la loro vita pur di conservare un posto di lavoro”? Tante, troppe. Tanti, troppi.

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Con questa campagna abbiamo deciso di prendere posizione contro chi sostiene pubblicamente e implicitamente che sia più importante l’età anagrafica delle competenze, contro un sistema che spinge a scegliere i lavoratori sulla base del genere e non delle capacità, contro un sistema che teme la maternità (e la genitorialità) senza rivendicare invece qualcosa in cui noi fortemente crediamo: un figlio aggiunge e non toglie, mai. O almeno non dovrebbe, anche se spesso accade. E accade perché viviamo in un Paese che non offre la possibilità di vivere la maternità (la paternità e la genitorialità) in modo sereno, con il sostegno dovuto e voluto. Una società in cui un padre che fa il padre è un “mammo”, e non perché lui si senta tale ma perché viene percepito come tale. Una società nella quale un uomo “aiuta” in casa, come se stesse facendo un favore alle donne e non prima di tutto a sé stesso. Una società nella quale il congedo di paternità è merce rara, e quei coraggiosi che si prendono la briga di chiederlo devono vivere l’umiliazione di sentirsi trattare come dei “diversi”. Una società in cui ti permetti di fare un figlio solo se hai i nonni che ti aiutano o i soldi per pagare le babysitter (e i babysitter), perché non esistono gli asili aziendali e le misure di sostegno al reddito per le famiglie in Italia – nonostante alcuni miglioramenti – lasciano ancora a desiderare. Crediamo fortemente che un figlio oggi – per chi lo vuole e lo cerca – non sia un fatto privato ma una scelta rivoluzionaria, perché procreare è diventata una sfida complicata (sia idealmente che biologicamente). Un figlio per noi è una conquista, una conquista che va rivendicata dall’intera comunità.

Ma attenzione: il nostro non è un movimento politico. Né tantomeno un coro composto da sole madri. È al contrario un grido trasversale che comprende donne con storie diverse e che non si ferma al difficile bilanciamento tra lavoro e figli. Le affermazioni della Franchi fanno male a tutte e a tutti. Anche alle -anta single e senza figli che, secondo l’imprenditrice, sono da assumere solo perché non hanno procreato. Si dà per scontato che, non avendo prole, queste lavoratrici non abbiano altro nella vita per cui usci- re dall’ufficio, che non abbiano una vita degna di essere vissuta al di fuori del loro impiego. In più non si considera che oggi il problema è semmai quello opposto: per fare figli si aspettano proprio gli -anta di cui parla la Franchi. Perché negli -enta si sgobba e si fa la gavetta. E poi ci sono gli uomini, che a stare con i figli ci tengono sul serio e magari si sentono discriminati se non possono farlo perché alla fine, se manca lo stipendio più consistente – quello maschile nella maggior parte dei casi –, chi porta avanti la famiglia? Uomini che vorrebbero anche loro avere diritto a un mondo del lavoro che non faccia solo della disponibilità il metro della propria prestazione e del proprio valore.

Da lavoratrici e da esseri umani, rivendichiamo oggi il diritto al tempo libero. Il diritto di non lavorare e dare la propria disponibilità h24 in nome del presunto successo professionale. Rivendichiamo il diritto di godere del nostro tempo senza essere accusate di poca serietà.

Stanche di una narrazione univoca, stanche di sentirci giudicate da un sistema valoriale per cui si è professioniste migliori se si decide di sacrificare tutto in nome della carriera, oggi abbiamo deciso di dirlo con forza: la maternità c’entra poco, il problema è culturale.

Un grazie speciale e sincero va anche all’imprenditrice Elisa- betta Franchi, senza la quale non sarebbe nato #senzagiridiboa. Un grazie per la sua onestà, per aver detto ad alta voce ciò che in molti pensano ma non hanno il coraggio di dire.